L’implantologia è considerata da almeno trent’anni una valida alternativa alla protesi “convenzionale” per rimpiazzare gli elementi dentari mancanti o compromessi.
Le prime pubblicazioni scientifiche che riportano per gli impianti osteointegrati percentuali di successo attestate intorno al 90% sono della fine degli anni 80 del secolo scorso.
Da allora viene documentata da un numero via via crescente di ricercatori la guarigione con osteointegrazione delle viti in titanio inserite nelle creste ossee totalmente e parzialmente edentule di mascella e mandibola, seguendo un medesimo protocollo definito e ripetibile in tutti i suoi passaggi, il quale consente la formazione di un legame “fisico” tra la superficie dell’impianto e il tessuto osseo senza che si verifichi alcun tipo di reazione avversa.
Il protocollo è la parola chiave che definisce più di ogni altra l’evoluzione dell’implantologia, oramai considerata una disciplina base dell’odontoiatria contemporanea senza essere più relegata nel novero delle iper-specializzazioni.
Come per ogni branca della medicina, il protocollo è tutto perché la confina nell’ambito delle sole conoscenze applicabili alla clinica, quelle basate sull’evidenza scientifica.
Negli anni il protocollo dell’implantologia è evoluto verso una costante semplificazione delle procedure, verso una loro minore invasività e verso una riduzione dei tempi complessivi del trattamento.
L’applicazione di tecnologie via via più sofisticate nella produzione degli impianti, così come nella diagnostica per immagini e nella progettazione e realizzazione delle protesi, ha contribuito a rendere il risultato finale, una riabilitazione verosimigliante per estetica e funzione, sempre più predicibile e sempre meno operatore-sensibile.
L’implantologia non è come si potrebbe pensare una branca della chirurgia orale (per inserire un impianto si deve ricavarne la sede nella cresta ossea con una procedura più o meno invasiva) ma della protesi.
Nella maggior parte dei casi gli impianti sono un supporto per le corone protesiche che devono sostituire i denti mancanti (vere e proprie radici artificiali) e come pilastri protesici devono essere considerati.
Ciò significa che il posizionamento di un impianto deve essere eseguito in funzione della protesi alla quale esso deve dare ancoraggio.
Il rispetto di questo principio ineludibile del protocollo implanto-protesico è fondamentale per il successo nel tempo della riabilitazione che si intende realizzare.
Ad esso associamo la corretta valutazione della condizione ossea della zona candidata a ricevere un impianto osteointegrato, eseguita attraverso gli esami strumentali (tomografia a fascio conico o tc cone beam) sofisticati e al tempo stesso poco invasivi che abbiamo attualmente a disposizione. Quindi il matching tra pianificazione preliminare e anatomia ossea deve essere riprodotto nel cavo orale per predire il risultato finale atteso dal paziente, che oggi giorno richiede il ripristino di una dentatura naturale.
La chirurgia computer–guidata rappresenta attualmente la risposta a questa esigenza: siamo difatti in condizioni di effettuare un intervento virtuale progettato sulla base di dati radiologici e clinici che riproducono perfettamente le condizioni del paziente.
Quindi, mediante le guide chirurgiche prodotte da stampanti 3D sulla base delle indicazioni date dal software nel cui ambiente si è progettato ed eseguito l’inserimento dell’impianto, quest’ultimo viene realmente posizionato spesso senza dover incidere e sollevare la gengiva e la mucosa che ricoprono l’osso della zona edentula (chirurgia flap-less ossia senza lembo).
Questa evoluzione sin qui brevemente descritta ha fatto si che l’implantologia da valida alternativa al “classico” ponte sia divenuta oggi giorno la prima scelta per i pazienti ai quali manca un singolo dente come per quelli che hanno l’intera dentatura compromessa.
IMMAGINE 2: L’IMPIANTO …